Stagione artistica 2017/2018
Martedi' 29 - Mercoledi' 30 - Giovedi' 31 maggio 2018 - Ore 21,00
LE COSMICOMICHE /LA BOUTIQUE DEL MISTERO
CALVINO INCONTRA BUZZATI
Martedi' 29 - Mercoledi' 30 - Giovedi' 31 maggio 2018 - Ore 21,00
LE COSMICOMICHE /LA BOUTIQUE DEL MISTERO
CALVINO INCONTRA BUZZATI
di Italo Calvino e Dino Buzzati
regia di Lorenzo Loris
con Paolo Bessegato, Pietro Bontempo
scena Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini,
luci Alessandro Tinelli
interventi video Toison, consulenza musicale Ariel Bertoldo
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
Foto di Agneza Dorkin
Teatro Palladium - Università Roma Tre
Piazza Bartolomeo Romano 8, 00154 Roma
PROMOZIONE SPECIALE A 10 EURO STAMPANDO IL SEGUENTE FILE E PRESENTANDOLO DIRETTAMENTE AL BOTTEGHINO:
PROMO Le cosmicomiche.pdf
Per gli studenti: Ingresso € 5
regia di Lorenzo Loris
con Paolo Bessegato, Pietro Bontempo
scena Daniela Gardinazzi, costumi Nicoletta Ceccolini,
luci Alessandro Tinelli
interventi video Toison, consulenza musicale Ariel Bertoldo
collaborazione ai movimenti Barbara Geiger
Foto di Agneza Dorkin
Teatro Palladium - Università Roma Tre
Piazza Bartolomeo Romano 8, 00154 Roma
PROMOZIONE SPECIALE A 10 EURO STAMPANDO IL SEGUENTE FILE E PRESENTANDOLO DIRETTAMENTE AL BOTTEGHINO:
PROMO Le cosmicomiche.pdf
Per gli studenti: Ingresso € 5
Per tre giorni, dal 29 al 31 maggio – il Teatro Palladium ospita il Teatro Out Off di Milano con LE COSMICOMICHE / LA BOUTIQUE DEL MISTERO, un progetto di Lorenzo Loris che mette in relazione parte del mondo letterario di Calvino con quello di Dino Buzzati e che vede protagonisti Paolo Bessegato e Pietro Bontempo.
Negli ultimi anni, dopo aver portato in scena la prosa potente di Testori, l’espressionismo di Gadda, la finezza intellettuale di Pasolini, Loris si è accostato alla scrittura di Italo Calvino, mettendo in scena la scorsa stagione alcuni racconti tratti dalla raccolta “Gli amori difficili”. In Italo Calvino non c’è l’espressionismo di Gadda né la visceralità di Testori ma, al contrario, è un autore cristallino, uno scrittore moderno che auspica un mondo letterario senza “soggetto”. La leggerezza a cui lo scrittore ligure dedicò una delle celebri “Lezioni Americane”, serve per conseguire la chiarezza in un mondo dominato dal caos. Con la sua opera fantastica ha aperto all’universo letterario la possibilità di usare strumenti utopici per affrontare la crudezza del mondo.
Ora, con questo nuovo spettacolo che prosegue il ciclo dedicato alla Letteratura Italiana dei grandi autori del Novecento, il regista conduce lo spettatore a misurarsi con un'avvincente trasposizione teatrale di un incontro mai avvenuto tra i due grandi narratori del Novecento e lo guida alla scoperta di nuovi modi d'immedesimazione nei mondi intellettuali e sentimentali evocati dalle loro creazioni letterarie. Che, tra l'altro, si combinano in modo sorprendente con la forza espressiva e con il ritmo proprio del loro materializzarsi sulle tavole del palcoscenico.
Calvino e Buzzati costruiscono la narrazione da un assunto fantastico: sovente i loro racconti nascono da un presupposto decisamente non realistico.
Nelle pagine di Buzzati, il destino è sempre in agguato e si manifesta ovunque. Si pensi alle amate montagne e ai boschi dei primi lavori, luoghi d’iniziazione e di scoperta, oppure alla solitudine del deserto, come luogo dell’attesa e dell’impossibile. E si pensi a Milano, la sua Milano, grande metropoli tentacolare e crogiolo di vite segrete, di sogni, di illusioni e di disperazioni, vero e proprio luogo del mistero e del quotidiano, stregata babele, girone infernale di turpitudini, di occulti prodigi e di inconfessate miserie.
In Calvino il fantastico è una trama leggera intrecciata nel vuoto. Per Buzzati il fantastico ha un peso, un’ancora gettata nel reale. Nei suoi racconti spesso lo spazio è duro e non coinvolgente ed avvolge i personaggi con un vento di tristezza. Il fantastico di Calvino è ricco di colori sgargianti, quello di Buzzati ha i colori della terra. Entrambi tuttavia giungono ad una ulteriore convergenza rappresentata da una vena ironica. Che lascia spazio ad un sorriso liberatorio.
Note di regia
In generale nei racconti di Buzzati prevale lo sguardo sull'essere umano, un'ottica psicologica e filosofica, spesso anche affettuosa, sulla condizione umana; mentre in Calvino la prospettiva sembra quasi evoluzionistica, sul genere umano come specie, e, di riflesso, su quella del mondo in cui viviamo.
Ma naturalmente le diversità e le affinità fra i due scrittori sono ben più sfumate.
A costo di qualche minima schematizzazione, ho cercato di raccapezzarmi spesso su come farle fluire e collegarle in uno spettacolo unico.
Una considerazione da fare, forse di una qualche fecondità, è sul tempo dei racconti, sugli archi narrativi, che quasi sempre coincide con la vita umana individuale per Buzzati, mentre sono spesso molto più ampie le prospettive temporali di Calvino, evoluzionistiche appunto. La maggior parte di tutti questi racconti ha in comune un taglio surreale, o uno sguardo magico, che è ciò che li tiene assieme in prima battuta, anche se lo scritto di Calvino sull’opera di Buzzati, datato 1980, mi sembra che costituisca una traccia unificante fra questi due grandi scrittori, sufficiente di per sé a spiegare il senso dell’accostamento, nonostante la varietà delle tematizzazioni e degli approdi narrativi cui giungono entrambi.
Così infatti, professa: “Ero nell'età in cui Poe regnava sul mio Pantheon così come aveva regnato su quello di Buzzati. Devo dire che lo stampo del racconto buzzatiano , preciso come un meccanismo che si tende dal principio alla fine in un crescendo d' attesa, di premonizione, d'angoscia, di paura, diventando un crescendo di realtà, diede forma al mio modo di concepire una narrazione. Tanto che quando, appena finita la guerra, mi misi a scrivere storie che passavano per neorealiste, era l'insorgere d'angoscia di paura, d'irrealtà delle situazioni buzzatiane che operava in me come modello.
In seguito scrittori più problematici e più densi di coscienza intellettuale ebbero su di me un ascendente che sembrava mettere in ombra quella prima lezione, ma si trattava d'un altro tipo di influenza. L'iperintellettualismo dei tempi che seguirono sembrava scivolasse, senza sfiorarlo, intorno a quest'uomo asciutto e civilissimo che vedevamo muoversi imperturbabile e gentile attraverso le sere milanesi degli inverni esistenzialisti e ideologici. Oggi comprendiamo che la sua misura, nel mantenersi in una dimensione artigiana dello scrivere, era la sua forza; una dimensione il cui valore oggi la cultura letteraria dovrebbe essere in grado di riconoscere ...”.
Quelli di Calvino e di Buzzati sono materiali molto evocativi e spesso poetici, ciascun racconto crea un mondo a sé stante, spesso molto connotato e peculiare.
Ho cercato di metterli assieme seguendo fin qui un istintivo criterio di suggestione che mi ha condotto a sceglierne 4 su 85. Due di Calvino e due di Buzzati.
Ciascuno di essi mi ha parlato profondamente, a modo suo e io ho cercato le chiavi per riunirli in un discorso comune. Vi è tra Buzzati e Calvino una contemporaneità di vita artistica. Nel mondo di entrambi, intriso di sogno, vi è la perdita della nozione del tempo che è una delle coordinate della vita. Perdere questa coordinata significa infilarsi in un tunnel senza ritorno; è concesso solo andare avanti verso una meta che si allontana e risulta indefinita. I loro protagonisti perdono il senso comune del vivere e si adeguano ad un senso superiore e non accettabile dalla logica, che fanno proprio senza discutere. I loro voli arditi ci portano lontano ma, al tempo stesso, ci permettono "atterraggi sicuri”. Sulle ali delle loro pagine non siamo novelli Icari, ma viaggiatori che fanno rientro con un arricchimento per ciò che hanno sperimentato in virtù di quelle nuove prospettive.
Lo spettacolo inizia con il racconto di Calvino "La distanza della luna".
Il protagonista ha un nome bizzarro, palindromo: Qfwfq. Riferendosi alla donna che ha amato infiniti anni fa si domanda: "Ma lei? Chiedendomelo ero diviso nei miei timori." A questi "timori" risponde alla fine Buzzati con il suo "Inviti superflui".
La chiusa del suo racconto, è per certi versi la risposta ai quesiti d'amore che nel testo d'apertura dello spettacolo si pone il protagonista di Calvino.
La narrazione teatrale si apre quindi con il desiderio di realizzare il sogno d'amore di un uomo senza tempo Qfwfq, completamente perso per la moglie del capitano, e si chiude con lo stesso desiderio umano vivo e direi quasi quotidiano di essere amato come ognuno oggi vorrebbe, attraverso le parole dell’ anonimo protagonista di Buzzati (in cui non stentiamo a riconoscere la voce dell’autore) con "ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana..."
I due racconti "La memoria del mondo" e "Ragazza che precipita" sono collocati a seguire, tra il primo suddetto di Calvino e l'ultimo sogno d'amore non realizzato di Buzzati. "Inviti superflui" é il finale quindi, non solo perché è il più potente e poetico di tutti e tre, ma perché è il fil rouge, sotterraneo della complessiva narrazione teatrale.
"La memoria del mondo" apre alla disillusione amorosa e irrompe sulla scena prima piano, poi forte, laddove si apprende che lui, unico protagonista, ha fatto fuori la moglie. Non é forse per troppo disamore che ci si patologizza e ci si uccide o uccide l'altro? E poi subito dopo, “Ragazza che precipita” è un respiro, la possibilità che questo amore tanto cercato nei suddetti tre racconti possa essere qui spiegato attraverso la complessità femminile che per l'uomo è sempre una terra da conquistare.
Questo racconto fa da raccordo con i due precedenti e aggancia quello finale e successivo che descrive l'amore assoluto; quello che potrebbe durare ma che non dura, quello che potrebbe fiorire se l'altro soltanto potesse parlare la stessa lingua dell'amato. Ma ahimè, i fiori che a volte potrebbero durare non durano e Buzzati l'aveva ben intuito e forse vissuto. Non è che vogliamo vedere l'amore dappertutto, c'è... Ma si sa che l'oscurità è il colore preferito degli scrittori perché soltanto da lì può levarsi luce nuova e perché la vita dura oltre le distanze, con i suoi bagliori lunari che fanno sì che per il viandante la notte possa essere anche giorno.
(Lorenzo Loris)
Lorenzo Loris è da trent’anni il regista stabile del Teatro Out Off di Milano. Nella sua lunga attività ha realizzato un originale percorso attraverso la drammaturgia contemporanea e del Novecento: da Boris Vian a Tennessee Williams, a Joe Orton e Lars Noren, da Thomas Bernhard a Bertolt Brecht per arrivare ai contemporanei, tra i quali, Peter Asmussen, scrittore danese e sceneggiatore di Lars Von Trier, Edward Bond (Premio Ubu 2005), Rodrigo Garcia. Loris ha lavorato molto anche sulla drammaturgia italiana mettendo in scena testi di nuovi autori (Roberto Traverso, Massimo Bavastro, Edoardo Erba, Gigi Gherzi, Renato Gabrielli). Negli ultimi anni Lorenzo Loris ha sviluppato un confronto sempre più serrato con i massimi esponenti del ‘900 (Jean Genet, Samuel Beckett, Arthur Miller, Harold Pinter, Jean-Luc Lagarce, Raffaello Baldini, Giovanni Testori, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino). Questo confronto lo ha portato ad affrontare i grandi autori del passato (Maurice Maeterlinck, Henrik Ibsen, Marivaux, Carlo Goldoni, Shakespeare, Dostoevskij) con un bagaglio di esperienze tali da permettergli un lavoro approfondito e rigoroso sul testo, con l’obiettivo di mettere in sintonia le parole dell’autore con la nostra contemporaneità. Nel 2011 ha vinto il Premio ANCT - Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, in particolare per il suo accurato e fine complesso di messinscene pinteriane.
Paolo Bessegato dopo essersi diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e dopo le prime esperienze con Giorgio Strehler e Dario Fo, ha realizzato spettacoli con testi dei poeti Andrea Zanzotto, Antonio Porta, Giancarlo Majorino partecipando nel 1979 alla rassegna “Sex poetry” nella cantina dell’Out Off. Negli anni ottanta si è affermato come attore lavorando con diversi registi tra i quali: Mina Mezzadri, Nanni Garella, Bruni-De Capitani, Walter Pagliaro; Giuseppe Bertolucci, Massimo Castri.
Come regista ha messo in scena testi di Roberto Mussapi, Ottiero Ottieri, Achille Platto e Giuseppe Di Leva, curando anche la regia della prima esecuzione moderna dell'opera lirica "Ruy Blas" di Filippo Marchetti (1867), al teatro Pergolesi di Jesi. In coppia con David Riondino ha realizzato per il teatro "Il corsaro nero", tratto dal romanzo di Salgari; "Poema autobiografico" di Giuseppe Garibaldi; "Francesca da Rimini" di Silvio Pellico; "L'isola o L'ammutinamento del Bounty" poema di George Byron. Come voce recitante ha collaborato con i musicisti Marco Tutino, Ivan Fedele, Luca Francesconi, Carlo Galante, Carlo Boccadoro, Michele Dall'Ongaro. Nel cinema ha lavorato con Francesca Comencini, Carlo Vanzina, Roberto Andò, Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi e ha partecipato a film e sceneggiati televisivi tra i quali Il mostro di Firenze, Puccini, Atelier Fontana - Le sorelle della moda; Il commissario Rex.
Pietro Bontempo, attore, regista, traduttore, didatta, nasce a Vasto in provincia di Chieti e a 19 anni si iscrive all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma. Come attore ha lavorato, tra gli altri, con Luca Ronconi, Dario Fo, Aldo Trionfo, Armando Pugliese, Mario Missiroli, Giancarlo Nanni, Beppe Navello, Mario Missiroli, Gigi Proietti, Giorgio Albertazzi, Barbara Nativi, Lamberto Pugelli, Ennio Coltorti, Andrea Camilleri, Enzo Siciliano, Monica Guerritore, Ricard Reguant, Dominic Dromgoole, Roberto Valerio, Renato Mambor. Come regista ha messo in scena testi di David Mamet, Israel Horowitz, Arnold Wesker, Harold Pinter, Sam Shepard, Wraclav Havel, Jez Butterworth, Laura Forti, Terenzio Afro, Christina Rossetti, Grazia Verasani, Pierpaolo Palladino. Lavora anche come regista cinematografico e video. Come interprete ha lavorato con registi quali Jertzy Skolimowski, John Frankenheimer, Francesco Rosi, Lina Wertmuller, Alessandro D’alatri, Pupi Avati, Pietro Reggiani. Prende parte a numerose miniserie televisive tra le quali: “Distretto di polizia”, “Uno bianca” , “Nero Wolfe”, “Squadra mobile”, “Baciato dal sole”.
Il Teatro Out Off, fondato e tuttora diretto da Mino Bertoldo insieme al regista Lorenzo Loris e al drammaturgo Roberto Traverso, è dal 1976 una realtà produttiva che si occupa di teatro in relazione a quanto avviene di nuovo sulle scene, nella drammaturgia, nella danza, nella musica, nelle arti visive. Dal 2004 ha sede a Milano in via Mac Mahon, una sala da 200 posti moderna e accogliente frutto di una ricerca estetica e funzionale e di una precisa concezione artistica dello spazio teatrale. Nel 2007 il teatro ha ricevuto dal Comune di Milano l’ Ambrogino d’oro per la sua attività trentennale di ricerca. Regista stabile è Lorenzo Loris uno tra i registi più apprezzati della sua generazione (Premio nazionale della critica per la regia de “Il guardiano” di Pinter 2011).
Negli ultimi anni, dopo aver portato in scena la prosa potente di Testori, l’espressionismo di Gadda, la finezza intellettuale di Pasolini, Loris si è accostato alla scrittura di Italo Calvino, mettendo in scena la scorsa stagione alcuni racconti tratti dalla raccolta “Gli amori difficili”. In Italo Calvino non c’è l’espressionismo di Gadda né la visceralità di Testori ma, al contrario, è un autore cristallino, uno scrittore moderno che auspica un mondo letterario senza “soggetto”. La leggerezza a cui lo scrittore ligure dedicò una delle celebri “Lezioni Americane”, serve per conseguire la chiarezza in un mondo dominato dal caos. Con la sua opera fantastica ha aperto all’universo letterario la possibilità di usare strumenti utopici per affrontare la crudezza del mondo.
Ora, con questo nuovo spettacolo che prosegue il ciclo dedicato alla Letteratura Italiana dei grandi autori del Novecento, il regista conduce lo spettatore a misurarsi con un'avvincente trasposizione teatrale di un incontro mai avvenuto tra i due grandi narratori del Novecento e lo guida alla scoperta di nuovi modi d'immedesimazione nei mondi intellettuali e sentimentali evocati dalle loro creazioni letterarie. Che, tra l'altro, si combinano in modo sorprendente con la forza espressiva e con il ritmo proprio del loro materializzarsi sulle tavole del palcoscenico.
Calvino e Buzzati costruiscono la narrazione da un assunto fantastico: sovente i loro racconti nascono da un presupposto decisamente non realistico.
Nelle pagine di Buzzati, il destino è sempre in agguato e si manifesta ovunque. Si pensi alle amate montagne e ai boschi dei primi lavori, luoghi d’iniziazione e di scoperta, oppure alla solitudine del deserto, come luogo dell’attesa e dell’impossibile. E si pensi a Milano, la sua Milano, grande metropoli tentacolare e crogiolo di vite segrete, di sogni, di illusioni e di disperazioni, vero e proprio luogo del mistero e del quotidiano, stregata babele, girone infernale di turpitudini, di occulti prodigi e di inconfessate miserie.
In Calvino il fantastico è una trama leggera intrecciata nel vuoto. Per Buzzati il fantastico ha un peso, un’ancora gettata nel reale. Nei suoi racconti spesso lo spazio è duro e non coinvolgente ed avvolge i personaggi con un vento di tristezza. Il fantastico di Calvino è ricco di colori sgargianti, quello di Buzzati ha i colori della terra. Entrambi tuttavia giungono ad una ulteriore convergenza rappresentata da una vena ironica. Che lascia spazio ad un sorriso liberatorio.
Note di regia
In generale nei racconti di Buzzati prevale lo sguardo sull'essere umano, un'ottica psicologica e filosofica, spesso anche affettuosa, sulla condizione umana; mentre in Calvino la prospettiva sembra quasi evoluzionistica, sul genere umano come specie, e, di riflesso, su quella del mondo in cui viviamo.
Ma naturalmente le diversità e le affinità fra i due scrittori sono ben più sfumate.
A costo di qualche minima schematizzazione, ho cercato di raccapezzarmi spesso su come farle fluire e collegarle in uno spettacolo unico.
Una considerazione da fare, forse di una qualche fecondità, è sul tempo dei racconti, sugli archi narrativi, che quasi sempre coincide con la vita umana individuale per Buzzati, mentre sono spesso molto più ampie le prospettive temporali di Calvino, evoluzionistiche appunto. La maggior parte di tutti questi racconti ha in comune un taglio surreale, o uno sguardo magico, che è ciò che li tiene assieme in prima battuta, anche se lo scritto di Calvino sull’opera di Buzzati, datato 1980, mi sembra che costituisca una traccia unificante fra questi due grandi scrittori, sufficiente di per sé a spiegare il senso dell’accostamento, nonostante la varietà delle tematizzazioni e degli approdi narrativi cui giungono entrambi.
Così infatti, professa: “Ero nell'età in cui Poe regnava sul mio Pantheon così come aveva regnato su quello di Buzzati. Devo dire che lo stampo del racconto buzzatiano , preciso come un meccanismo che si tende dal principio alla fine in un crescendo d' attesa, di premonizione, d'angoscia, di paura, diventando un crescendo di realtà, diede forma al mio modo di concepire una narrazione. Tanto che quando, appena finita la guerra, mi misi a scrivere storie che passavano per neorealiste, era l'insorgere d'angoscia di paura, d'irrealtà delle situazioni buzzatiane che operava in me come modello.
In seguito scrittori più problematici e più densi di coscienza intellettuale ebbero su di me un ascendente che sembrava mettere in ombra quella prima lezione, ma si trattava d'un altro tipo di influenza. L'iperintellettualismo dei tempi che seguirono sembrava scivolasse, senza sfiorarlo, intorno a quest'uomo asciutto e civilissimo che vedevamo muoversi imperturbabile e gentile attraverso le sere milanesi degli inverni esistenzialisti e ideologici. Oggi comprendiamo che la sua misura, nel mantenersi in una dimensione artigiana dello scrivere, era la sua forza; una dimensione il cui valore oggi la cultura letteraria dovrebbe essere in grado di riconoscere ...”.
Quelli di Calvino e di Buzzati sono materiali molto evocativi e spesso poetici, ciascun racconto crea un mondo a sé stante, spesso molto connotato e peculiare.
Ho cercato di metterli assieme seguendo fin qui un istintivo criterio di suggestione che mi ha condotto a sceglierne 4 su 85. Due di Calvino e due di Buzzati.
Ciascuno di essi mi ha parlato profondamente, a modo suo e io ho cercato le chiavi per riunirli in un discorso comune. Vi è tra Buzzati e Calvino una contemporaneità di vita artistica. Nel mondo di entrambi, intriso di sogno, vi è la perdita della nozione del tempo che è una delle coordinate della vita. Perdere questa coordinata significa infilarsi in un tunnel senza ritorno; è concesso solo andare avanti verso una meta che si allontana e risulta indefinita. I loro protagonisti perdono il senso comune del vivere e si adeguano ad un senso superiore e non accettabile dalla logica, che fanno proprio senza discutere. I loro voli arditi ci portano lontano ma, al tempo stesso, ci permettono "atterraggi sicuri”. Sulle ali delle loro pagine non siamo novelli Icari, ma viaggiatori che fanno rientro con un arricchimento per ciò che hanno sperimentato in virtù di quelle nuove prospettive.
Lo spettacolo inizia con il racconto di Calvino "La distanza della luna".
Il protagonista ha un nome bizzarro, palindromo: Qfwfq. Riferendosi alla donna che ha amato infiniti anni fa si domanda: "Ma lei? Chiedendomelo ero diviso nei miei timori." A questi "timori" risponde alla fine Buzzati con il suo "Inviti superflui".
La chiusa del suo racconto, è per certi versi la risposta ai quesiti d'amore che nel testo d'apertura dello spettacolo si pone il protagonista di Calvino.
La narrazione teatrale si apre quindi con il desiderio di realizzare il sogno d'amore di un uomo senza tempo Qfwfq, completamente perso per la moglie del capitano, e si chiude con lo stesso desiderio umano vivo e direi quasi quotidiano di essere amato come ognuno oggi vorrebbe, attraverso le parole dell’ anonimo protagonista di Buzzati (in cui non stentiamo a riconoscere la voce dell’autore) con "ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana..."
I due racconti "La memoria del mondo" e "Ragazza che precipita" sono collocati a seguire, tra il primo suddetto di Calvino e l'ultimo sogno d'amore non realizzato di Buzzati. "Inviti superflui" é il finale quindi, non solo perché è il più potente e poetico di tutti e tre, ma perché è il fil rouge, sotterraneo della complessiva narrazione teatrale.
"La memoria del mondo" apre alla disillusione amorosa e irrompe sulla scena prima piano, poi forte, laddove si apprende che lui, unico protagonista, ha fatto fuori la moglie. Non é forse per troppo disamore che ci si patologizza e ci si uccide o uccide l'altro? E poi subito dopo, “Ragazza che precipita” è un respiro, la possibilità che questo amore tanto cercato nei suddetti tre racconti possa essere qui spiegato attraverso la complessità femminile che per l'uomo è sempre una terra da conquistare.
Questo racconto fa da raccordo con i due precedenti e aggancia quello finale e successivo che descrive l'amore assoluto; quello che potrebbe durare ma che non dura, quello che potrebbe fiorire se l'altro soltanto potesse parlare la stessa lingua dell'amato. Ma ahimè, i fiori che a volte potrebbero durare non durano e Buzzati l'aveva ben intuito e forse vissuto. Non è che vogliamo vedere l'amore dappertutto, c'è... Ma si sa che l'oscurità è il colore preferito degli scrittori perché soltanto da lì può levarsi luce nuova e perché la vita dura oltre le distanze, con i suoi bagliori lunari che fanno sì che per il viandante la notte possa essere anche giorno.
(Lorenzo Loris)
Lorenzo Loris è da trent’anni il regista stabile del Teatro Out Off di Milano. Nella sua lunga attività ha realizzato un originale percorso attraverso la drammaturgia contemporanea e del Novecento: da Boris Vian a Tennessee Williams, a Joe Orton e Lars Noren, da Thomas Bernhard a Bertolt Brecht per arrivare ai contemporanei, tra i quali, Peter Asmussen, scrittore danese e sceneggiatore di Lars Von Trier, Edward Bond (Premio Ubu 2005), Rodrigo Garcia. Loris ha lavorato molto anche sulla drammaturgia italiana mettendo in scena testi di nuovi autori (Roberto Traverso, Massimo Bavastro, Edoardo Erba, Gigi Gherzi, Renato Gabrielli). Negli ultimi anni Lorenzo Loris ha sviluppato un confronto sempre più serrato con i massimi esponenti del ‘900 (Jean Genet, Samuel Beckett, Arthur Miller, Harold Pinter, Jean-Luc Lagarce, Raffaello Baldini, Giovanni Testori, Carlo Emilio Gadda, Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino). Questo confronto lo ha portato ad affrontare i grandi autori del passato (Maurice Maeterlinck, Henrik Ibsen, Marivaux, Carlo Goldoni, Shakespeare, Dostoevskij) con un bagaglio di esperienze tali da permettergli un lavoro approfondito e rigoroso sul testo, con l’obiettivo di mettere in sintonia le parole dell’autore con la nostra contemporaneità. Nel 2011 ha vinto il Premio ANCT - Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, in particolare per il suo accurato e fine complesso di messinscene pinteriane.
Paolo Bessegato dopo essersi diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e dopo le prime esperienze con Giorgio Strehler e Dario Fo, ha realizzato spettacoli con testi dei poeti Andrea Zanzotto, Antonio Porta, Giancarlo Majorino partecipando nel 1979 alla rassegna “Sex poetry” nella cantina dell’Out Off. Negli anni ottanta si è affermato come attore lavorando con diversi registi tra i quali: Mina Mezzadri, Nanni Garella, Bruni-De Capitani, Walter Pagliaro; Giuseppe Bertolucci, Massimo Castri.
Come regista ha messo in scena testi di Roberto Mussapi, Ottiero Ottieri, Achille Platto e Giuseppe Di Leva, curando anche la regia della prima esecuzione moderna dell'opera lirica "Ruy Blas" di Filippo Marchetti (1867), al teatro Pergolesi di Jesi. In coppia con David Riondino ha realizzato per il teatro "Il corsaro nero", tratto dal romanzo di Salgari; "Poema autobiografico" di Giuseppe Garibaldi; "Francesca da Rimini" di Silvio Pellico; "L'isola o L'ammutinamento del Bounty" poema di George Byron. Come voce recitante ha collaborato con i musicisti Marco Tutino, Ivan Fedele, Luca Francesconi, Carlo Galante, Carlo Boccadoro, Michele Dall'Ongaro. Nel cinema ha lavorato con Francesca Comencini, Carlo Vanzina, Roberto Andò, Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi e ha partecipato a film e sceneggiati televisivi tra i quali Il mostro di Firenze, Puccini, Atelier Fontana - Le sorelle della moda; Il commissario Rex.
Pietro Bontempo, attore, regista, traduttore, didatta, nasce a Vasto in provincia di Chieti e a 19 anni si iscrive all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica di Roma. Come attore ha lavorato, tra gli altri, con Luca Ronconi, Dario Fo, Aldo Trionfo, Armando Pugliese, Mario Missiroli, Giancarlo Nanni, Beppe Navello, Mario Missiroli, Gigi Proietti, Giorgio Albertazzi, Barbara Nativi, Lamberto Pugelli, Ennio Coltorti, Andrea Camilleri, Enzo Siciliano, Monica Guerritore, Ricard Reguant, Dominic Dromgoole, Roberto Valerio, Renato Mambor. Come regista ha messo in scena testi di David Mamet, Israel Horowitz, Arnold Wesker, Harold Pinter, Sam Shepard, Wraclav Havel, Jez Butterworth, Laura Forti, Terenzio Afro, Christina Rossetti, Grazia Verasani, Pierpaolo Palladino. Lavora anche come regista cinematografico e video. Come interprete ha lavorato con registi quali Jertzy Skolimowski, John Frankenheimer, Francesco Rosi, Lina Wertmuller, Alessandro D’alatri, Pupi Avati, Pietro Reggiani. Prende parte a numerose miniserie televisive tra le quali: “Distretto di polizia”, “Uno bianca” , “Nero Wolfe”, “Squadra mobile”, “Baciato dal sole”.
Il Teatro Out Off, fondato e tuttora diretto da Mino Bertoldo insieme al regista Lorenzo Loris e al drammaturgo Roberto Traverso, è dal 1976 una realtà produttiva che si occupa di teatro in relazione a quanto avviene di nuovo sulle scene, nella drammaturgia, nella danza, nella musica, nelle arti visive. Dal 2004 ha sede a Milano in via Mac Mahon, una sala da 200 posti moderna e accogliente frutto di una ricerca estetica e funzionale e di una precisa concezione artistica dello spazio teatrale. Nel 2007 il teatro ha ricevuto dal Comune di Milano l’ Ambrogino d’oro per la sua attività trentennale di ricerca. Regista stabile è Lorenzo Loris uno tra i registi più apprezzati della sua generazione (Premio nazionale della critica per la regia de “Il guardiano” di Pinter 2011).